martedì, gennaio 13, 2015

Intervista a Vanity Fair Italia



Ecco uno stralcio dell'intervista rilasciata da Colin a Vanity Fair-Italia (LINK):

Lo trovo seduto su un divano, e quando mi avvicino indica il minuscolo cagnolino attaccato alla sua gamba che non smetterà di accarezzare per tutto il corso della nostra conversazione. «È di un mio amico, si chiama Terry. Credo si sia addormentato».
Quando parla Colin Farrell abbassa la voce e allunga la testa, ma non credo lo faccia solo per non svegliare il cane o perché come tanti irlandesi sa subito metterti a tuo agio. Penso dipenda dal fatto che anche la vita più veloce e avventurosa, persino quella di uno degli uomini più desiderati di Hollywood, con un pizzico di fortuna prima o poi arriva nel luogo sereno in cui Farrell mi racconta di sentirsi adesso: «Sto bene. Sono felice di essermi lasciato alle spalle gli anni della pazzia e del caos, quelli in cui mi muovevo non nella nebbia ma nella luce, navigando a vista, sempre nella tempesta: ora sono sulla terraferma. Se mi guardo indietro, mi rendo conto di avere fatto un viaggio pazzesco: ho goduto tantissimo di quello che mi ha dato la vita, sono rimasto solo e triste, infine solo sereno. Non mi fraintenda: non sono diventato Buddha. Ho ancora le stesse paure di una volta, ma ho scoperto che quando ti concentri sulla parte positiva della vita, quella negativa si frantuma e smette di esistere».
Ci incontriamo perché Colin Farrell è testimonial di Intenso, la nuova fragranza di Dolce & Gabbana che viene lanciata con foto di Mark Seliger: «È stato naturale accettare l’offerta di due amici che conosco da oltre quindici anni, e quando ho provato la fragranza mi sono ancora più convinto, anche se devo confessare che l’ultima volta che mi ero messo un profumo credo avessi 16 anni, ed era il regalo di una mia fidanzata».
A fine anni Novanta, il giovane Colin era partito per Los Angeles senza mai abbandonare veramente Dublino, se non altro perché parte della famiglia lo ha accompagnato nel suo viaggio verso la celebrità. Ancora adesso la sorella Claudine è la sua assistente personale, mentre lui si divide tra i set e l’educazione dei due figli James (avuto dalla modella Kim Bordenave), che ha 11 anni ed è affetto dalla sindrome di Angelman, un grave disturbo neurologico di origine genetica, e Henry, di 5 anni (la madre è Alicja Bachleda-Curus, attrice e cantante). Scoperto da Joel Schumacher prima con Tigerland e poi con In linea con l’assassino, il film che lo ha lanciato nel 2002, Farrell ha lavorato con Steven Spielberg (Minority Report), con Oliver Stone (Alexander) e con Woody Allen (Sogni e delitti). Ha fatto kolossal come Miami Vice o Total Recall - Atto di forza e film piccoli come In Bruges, che gli ha procurato un Golden Globe come migliore attore per la sua interpretazione del killer Ray. È insomma diventato uno di quei divi onnipotenti che sembrano potersi permettere qualsiasi cosa, se non fosse che nel frattempo ha anche rischiato di perdere tutto infilando una serie di anni difficili che lo hanno portato in clinica di riabilitazione.






























Ora che ha 38 anni e un corpo scolpito dallo yoga che si intravede sotto alla camicia di jeans, è difficile non pensare che Colin Farrell è sopravvissuto a tutto anche perché parlando cerca di non svegliare quel cagnolino. O perché potrebbe raccontare delle donne famose con cui è stato avvistato, da Britney Spears ad Angelina Jolie, e invece quando gli chiedi della prima cotta cita Marilyn Monroe che guardava quando era bambino in A qualcuno piace caldo. O ancora perché raccontando della prossima stagione di True Detective, di cui lui e Vince Vaughn saranno protagonisti nel ruolo dei poliziotti filosofi al posto di Matthew McConaughey e Woody Harrelson, mi dice che è eccitato di far parte di una serie scritta così bene, ma poi aggiunge: «Anche sul lavoro è come se mi fossi infilato nella mia vita vera, qualunque essa sia, più di quanto sia mai successo prima».

Quindi è contento anche della sua vita professionale? «Sì, ma sinceramente ho smesso da tempo di vedermi come attore: prima di tutto mi penso come padre, come uomo, come amico. Sono concentrato sulla mia vita: prima viene la famiglia, poi il lavoro. E forse proprio per questo amo più che mai fare film, perché non sono attaccato al mio ruolo come un tempo, ho capito che niente è più importante dei miei figli». (...)
Com’è essere un papà single? «È l’unica realtà che conosco. Sono un padre presente, perché credo che la cosa più importante in assoluto che puoi fare per i figli sia esserci, anche con la propria inadeguatezza, anche facendo un sacco di errori. Bisogna essere lì per ascoltarli, giocare con loro, preparare una tazza di cereali, spegnere la televisione».


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