mercoledì, maggio 07, 2003

La regola del sospetto: review

A cura di Alberto Cassani (LINK)



James Clayton, giovane genio dell’informatica, viene avvicinato da un reclutatore della CIA. Incredulo, Clayton accetta l’offerta, convinto soprattutto dalla scoperta che anche suo padre era un agente. Durante i sei mesi di addestramento si dimostra essere uno dei migliori aspiranti al posto di agente segreto… 

Buon thriller scritto da Roger Towne, Kurt Wimmer e Mitch Glazer, La regola del sospetto è uno dei migliori film dell’incostante regista australiano Roger Donaldson. Pur non essendo neanche lontanamente memorabile, risulta essere un film solido, ben realizzato e dotato di buona suspense. Senza puntare troppo in alto, e incentrando la vicenda su un singolo personaggio piuttosto che su un complotto internazionale, il film non perde mai di interesse e non lascia cadere la tensione fino alla fine, quando un evidente balzello allo star system ci obbliga ad ascoltare il monologo di Al Pacino che anticipa la chiusura. Colin Farrell, qui al suo primo vero ruolo da protagonista, si dimostra perfettamente in grado di reggere un film quasi da solo: con la faccia e il fisico che ha potrebbe permettersi di apparire senza recitare, invece ci mette del suo e crea un personaggio vivo e interessante.



Al suo fianco Al Pacino recita col pilota automatico un personaggio già visto milioni di volte (ma è pur sempre Al Pacino) e Bridget Moynahan finisce per non avere molto più spazio che nei suoi precedenti Serendipity e Al vertice della tensione, facendosi ricordare più per il bel viso che non per la bravura. Dal punto di vista tecnico Donaldson non eccelle in regia, mettendo in scena il film in maniera anonima anche se funzionale, lasciandosi comunque scappare qualche sottolineatura di troppo nella fase conclusiva della pellicola. Buona invece la fotografia di Stuart Dryburgh e discrete le musiche del tedesco Klaus Badelt, “allievo” di Hans Zimmer e autore della colonna sonora di The Time Machine. Ricca di divertenti citazioni ed efficaci scene d’azione, la pellicola riesce ad intrattenere il pubblico non volendo fare niente più di questo, pur sfruttando a volte lo stratagemma del software fantascientifico per risolvere qualche buco di sceneggiatura. Ma in fin dei conti, lo spettacolo convince lo spettatore a stare al gioco e credere a tutto ciò che vede e sente. Anche se «niente è ciò che sembra».


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