martedì, giugno 30, 2015
Gioia! Intervista
Ecco l'intervista di Colin pubblicata dal settimanale Gioia! lo scorso 26 giugno: LINK.
«Quando ho saputo che avrebbero realizzato una seconda stagione di True Detective ho pensato: wow, ci vuole un bel coraggio». Spacconata perdonabile, da parte di Colin Farrell, irlandese, 38 anni, due figli di 12 e sei anni da donne diverse, un passato di eccessi tra alcol e video hard, un presente morigerato, tutto yoga e centrifugati bio: lui quella sfida l’ha raccolta personalmente. Da lunedì 22 giugno è infatti su Sky Atlantic (in contemporanea con gli Usa) protagonista, con Vince Vaughn, Taylor Kitsch e Rachel McAdams, di una rischiosissima seconda stagione della popolare serie tv Hbo già interpretata − divinamente − da Matthew McConaughey e Woody Harrelson. Dove Colin, Golden Globe per In Bruges e ora volto della fragranza Intenso di Dolce &Gabbana, veste i panni di un poliziotto un po’ torbido, capelli lunghi e baffoni. Tutt’altro genere rispetto al single di mezza età un po’ imbolsito che interpreta in The Lobster (l’aragosta), noir allucinato del greco Yorgos Lanthimos, premio della giuria a Cannes (in autunno al cinema), costretto da una società dogmaticamente coniugale a trovarsi una partner entro 45 giorni, pena la trasformazione in un animale a scelta. Il crostaceo del titolo, nel suo caso specifico.
Era un fan della prima stagione di True Detective?
Sì. Comprendo i timori del pubblico. È naturale che chi ha amato molto la prima edizione guardi con diffidenza alla seconda.
Anche lei?
Sulle prime sì, capisco che le persone si affezionino. Se mi dicessero che vogliono fare il remake di un film che mi è molto caro, come Ritorno al futuro, la prima cosa che penserei è che a Hollywood non hanno più idee originali. Però poi ho letto il copione ed era così ben scritto da liquidare ogni mio dubbio. Alla fine, devi sempre puntare sulla buona scrittura. Se c’è una cosa che ho imparato è questa.
Lo prendiamo come un complimento per gli sceneggiatori.
Certo. Anche un regista geniale non può fare granché con una storia scritta male. Nic (Pizzolatto, autore della sceneggiatura, ndr) è così severo con se stesso che non avrebbe realizzato un seguito, se non avesse avuto qualcosa di originale e notevole da dire. E chi ha visto la prima puntata sta cominciando a capirlo.
Molti filmmaker pensano che la tv abbia surclassato il cinema.
Basta guardare quanto spazio i media dedicano alle nuove fiction e come i loro protagonisti siano popolari, per capire quanto ormai gli standard delle serie televisive siano alti. Per quella che è la mia esperienza, non c’è nessuna differenza. In entrambi i casi, tutto dipende da quanto è ricca la produzione e dal calibro delle persone coinvolte. E Hbo fa le cose in grande.
Lei ne ha fatta di strada, si ricorda la prima volta che ha letto il suo nome su una locandina?
No. Ma ricordo il mio primo autografo. È stato strano. Mi trovavo su O’Connell bridge, a Dublino.
Un tempo era l’enfant terrible di Hollywood, ora?
Conduco una vita piuttosto sana, devo ammetterlo, la più sana che abbia mai fatto. Mi piace e basta. Non è un semplice esercizio di vanità, anche se la vanità gioca una parte importante. Per esempio mi gratifica molto praticare lo yoga. Ogni volta che stendo il tappetino, prima di salirci sopra, provo una strana eccitazione. E poi mi piace camminare. Dove vivo, a Los Angeles, il paesaggio è bellissimo: le colline sono proprio lì, mi piace portarci i ragazzi ogni tanto. Come vede, è facile farmi sentire bene.
Lo yoga è incompatibile con le notti brave e l’alcol.
Alla lunga vivere così è noioso: già fatto, già visto. Roba passata.
Per girare The lobster è tornato in Irlanda. Com’è stato?
Mi sentivo a casa. Anche se non ci vivo da dieci anni. Senza pianificarlo, ogni due o tre anni trovo un progetto che mi ci riporta.
Quanto le ci è voluto per adattarsi fisicamente al personaggio del film di Lanthimos?
Otto settimane. A mangiare come un maiale.
Da come lo dice, non sembra divertente.
Non lo è stato, infatti. Avevo a disposizione la lista completa dei cibi proibiti, la dieta dei miei sogni: cheeseburger, pizza, formaggi, gelato, Coca-Cola. Dopo due giorni non ne potevo più.
Fa la parte di un separato obbligato a trovarsi una compagna. La società sopravvaluta la vita coniugale?
Non saprei, dipende dalle stagioni, credo. Un anno la società decide che ci realizziamo pienamente solo nel matrimonio, quello successivo che i compromessi legati alla vita di coppia snaturano l’individuo, e che è molto più virtuosa un’esistenza solitaria.
Da single, si sente addosso qualche pressione?
Nessuna pressione. Sto bene da solo. Almeno, ultimamente mi hanno attribuito questa affermazione. L’ho letta da qualche parte e sono certo che da oggi in poi la leggerò ancora per un po’. È terribile quando qualcuno mette nero su bianco le cose che dici in un momento particolare della tua vita e ti inchioda per sempre a una tua parziale verità.
E quale sarebbe la verità assoluta?
Saperlo. La prima cosa che mi chiedo è: ma davvero l’ho detto? Io cambio idea continuamente, anche tra il pranzo e la cena. Ma a quanto pare ho dichiarato che non esco con nessuna da cinque o sei anni e che da allora sono un single felice. Ah, si segni anche questa: ho detto pure che credo nelle relazioni. Credo nel matrimonio, ma il matrimonio non è cosa da tutti. Se è per questo, però, nemmeno la vita da single lo è.
Lo crede davvero?
C’è gente che ha bisogno di vivere in solitudine per tutta la vita. Altri si ritrovano soli perché non sono stati abbastanza fortunati. Non c’è una regola. L’esperienza umana è troppo varia.
Lei in che categoria si situa?
Non so cosa mi attenda dietro l’angolo. Non è una decisione quella di essere single, non sto cercando di evitare qualcosa; ma nemmeno gli sto correndo incontro. Vedremo.
C’è una qualità che lei possiede e ricerca negli altri?
Una che?
Una qualità.
Qualcosa di mio? Oddio, non cercherei mai niente di mio in un’altra persona. In verità cerco di allontanarmi il più possibile da me stesso.
E perché mai?
Non c’è niente di me che mi ecciti o mi interessi tanto.
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