mercoledì, marzo 04, 2015

Grazia: intervista



Sul magazine Grazia.it è stata pubblicata un'intervista rilasciata da Colin qualche mese fa. Eccone alcuni stralci:

Lei è un uomo sincero? «E chi lo sa. È molto difficile per me definire che tipo di uomo sono. Mi riusciva più facile in passato, quando facevo molta attenzione a come venivo dipinto sulla tela dell’immaginario pubblico».

Tentava di costruirsi un personaggio? «Esattamente. Mi impegnavo molto a far sapere chi ero, chi non ero, che cosa fosse o non fosse importante per me. Oggi sono più contemplativo, quando penso alla mia identità ne faccio una questione più intima. Lo so che la mia vita è piuttosto intensa, però davvero non credo sia più intensa di quella di altri. Non la vedo come una questione legata alla celebrità, ma all’essere un uomo che lavora, ha due figli e cerca di destreggiarsi tra mille cose, come fanno in molti. Davvero, trovo molto intensa l’esperienza di vivere. Pochi di noi cominciano questo viaggio con un’idea chiara di chi debbano essere. Passiamo tutti i nostri giorni alla ricerca di un significato. In questo senso, per me la vita è un’esperienza intensa».

Che tipo di papà è? «Molto presente, fin troppo. A volte temo di diventare un ostacolo tra i miei ragazzi e il divertimento. Ma penso sia fondamentale, per i genitori, semplicemente esserci. Essere presenti. Il messaggio che mandi ai tuoi figli è di sostegno e senso di sicurezza. Ha un valore inestimabile».

Lei ha parlato, in passato, dell’importanza di essere “presente” anche nel riferirsi alla sua lotta per uscire dall’alcolismo. «Sì. Penso sinceramente di essere diventato molto più presente, come persona, da quando ho smesso di bere. C’è una differenza tra l’instaurare un rapporto con gli altri e il paragonarsi agli altri. Oggi per me è di grande importanza riuscire a instaurare un rapporto con il mio ambiente. Sei inutile, paralizzato, sei già morto, se non fai altro che paragonarti agli altri».

Quest’ansia di paragonarsi agli altri era legata al brusco passaggio dalla vita del ragazzo comune di Dublino al giovane attore di Hollywood? «Moltissimo. Per me, all’età di 20-21 anni, l’arrivo a Los Angeles è stato un vero e proprio choc culturale. Certo, faceva parte dell’avventura, ma sono arrivato qui con l’idea preconcetta che rischiavo di perdermi nella cosiddetta superficialità del mondo dello spettacolo».


Hollywood non è superficiale? «La superficialità c’è ovunque. Guardi, venga con me a Dublino, la mia città...».

O venga lei a Roma, la mia. «Esatto. Roma, assolutamente. Qualunque città, qualunque tribù ha in sé elementi di superficialità. Si presenta in quantità diverse: in posti glamour come Miami, New York, Parigi, Roma, in cui l’aspetto fisico delle persone è considerato di grande importanza, magari c’è un livello pro capite di superficialità maggiore che altrove. Dublino è una città operaia, costruita da gente con un grande senso dell’umorismo e uno spirito indomabile. È la patria di grandi scrittori e musicisti. Quando sono partito da lì per venire a Los Angeles, gli amici mi dicevano: “Te ne vai a Hollywood, tornerai uno stronzo”. Ho avuto paura che fosse vero».

Oggi si sente autentico? «A Los Angeles ho trovato grande sincerità. Qui ho un piccolo gruppo di amici carissimi, buoni, generosi. Mi ci è voluto un po’ di tempo, ma sono riuscito a costruirmi una vita che mi sta a pennello. E il fatto che ci abbia messo nove anni non è mica colpa della città. Noi esseri umani abbiamo bisogno di tempo per incontrare le persone che sappiano tirar fuori le nostre parti migliori».

Tra due anni ne compie 40, se non sbaglio. Questa cifra tonda la spaventa? «Ma no. Ho un amico a Dublino che ogni giorno maledice il fatto che non abbiamo più 20 anni. Vorrebbe che fossimo ancora nei pub di Castleknock (un sobborgo di Dublino, ndr) a ubriacarci, a ritrovarci in giro alle cinque di mattina senza ricordare la strada di casa, a mangiare schifezze comprate sul marciapiede. Io no, sono tranquillo. Certo, quei giorni erano meravigliosi. C’era molta bellezza, c’erano senso dell’avventura e voglia di esplorare, ma io adoro il tempo che passa. Vorrei soltanto che non fosse così impegnato nel dimostrarci quanto sappia esser veloce. Succede tutto così alla svelta. Però mi intriga».

Il suo approccio con le donne? «Cauto. Sono single da cinque anni. Ho avuto alcune relazioni interessanti e meravigliose. Alcune sono durate, altre meno. Sono cresciuto con tre figure molto forti e insolite: le mie due sorelle e mia madre. Ho coltivato l’amore per le donne partendo dal mio rapporto con loro. Mi trovo molto a mio agio in compagnia femminile, non necessariamente per ragioni sessuali o con una sorta di gerarchia maschilista in testa. Le donne mi piacciono molto».

Che cosa pensa dell’idea di essere un sex symbol? «Non ci penso».
Non le capita di guardarsi attorno, a volte… «Magari per dire tra me e me: “Ehi, guarda un po’ come sono bello, oggi?”. No, nemmeno. La mia vita esiste su pagine che non si trovano sulle riviste. Ogni tanto faccio queste interviste, mi fanno delle domande, e allora mi ricordo che sono famoso, che c’è gente al di fuori della mia cerchia che sa della mia esistenza. Non posso dire di fare uno sforzo concreto per separare la celebrità dalla mia vita privata, ma inevitabilmente si crea una selezione naturale che determina quale area della tua vita sia la più importante».

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